La notizia della malattia è arrivata improvvisa e inattesa. Mentre la comunità si preparava a celebrare la veglia notturna del Giovedì santo: padre Ivaldo Casula sta male, molto male. Laggiù, lontano nella sua missione di Makeni in Sierra Leone, Africa. “Pregate” ci è stato detto e così è stato fatto. Accompagnando con il ricordo e la preghiera Gesù nella sua agonia del Getsemani i pensieri andavano da un volto all’altro: Gesù e Ivaldo. Vicini loro, molto vicini. “Padre, se possibile passi da me questo calice, ma sia fatta non la mia ma la tua volontà”. Non è stato facile accompagnare gli ultimi momenti di vita del nostro fratello missionario così, a chilometri di distanza. Eppure il momento della sua morte a pochi minuti dal Venerdì santo non è sembrato un caso. Davvero il Signore prepara e sostiene i suoi figli quando la croce si fa pesante. Nessun corpo da vegliare in casa con i parenti, solo il simulacro di Gesù morto. Il silenzio del Sabato santo. E poi Pasqua! Quanto è faticoso credere nella Resurrezione quando un fratello, un amico, una persona cara non è più con noi. Eppure arriva Pasqua! Quante volte padre Ivaldo ci ha aiutato a vedere la luce oltre le tenebre che oscuravano il nostro cuore, quante volte ha ripescato la speranza dal nostro dolore più intimo, quante volte ci ha soltanto abbracciati con quel sorriso rassicurante: “Se è disegno di Dio non può essere male. Coraggio!”. Sembra di sentirlo! Così tutta la comunità di Guasila, con i suoi fratelli missionari Saveriani, vari sacerdoti che lo hanno conosciuto e tante persone che hanno avuto la fortuna di incontrarlo si sono riuniti la sera di questa Pasqua per una messa funebre, ma soprattutto, come ha detto il suo confratello padre Filiberto, per lodare il Signore di aver avuto una persona così bella che veramente ci ha dimostrato che si può dare la vita per gli altri, che è bello vivere per il Signore, che è entusiasmante rinunciare a tutto per vivere da povero tra i più poveri. Questo ha fatto Ivaldo: a soli 12 anni ha lasciato la sua casa, i suoi affetti e amici per studiare, formarsi, rafforzarsi nella sua vocazione finché a 19 anni prende i voti come Missionario Saveriano e nel 1970, a 27 anni, viene ordinato Sacerdote. Sempre lontano dai suoi: questa volta è in Scozia, a Glasgow. Il desiderio della missione è fortissimo, ma per obbedienza ai suoi superiori deve aspettare fino al 1980. Finalmente l’Africa, la missione. È stato bello, alla fine della messa vedere le foto che i padri missionari ci hanno portato: padre Ivaldo giovane, con la barba ancora nera, che lavora circondato di bambini e giovani in un ambiente che è lontano anni luce dal nostro. Nei suoi occhi una luce speciale, sembra dire: “Ecco, questa è la mia vita!” Ma pochi anni bastano per indebolire il suo fisico, la malaria lo colpisce in modo grave ed è costretto a tornare. Dopo essersi ripreso vorrebbe ripartire ma non è possibile: la Sierra Leone è lacerata dalla guerra e dall’avidità dell’uomo per i diamanti e le pietre preziose delle sue miniere. Bisogna aspettare. Così padre Ivaldo si dedica con successo alla formazione dei più giovani, li aiuta a discernere e a capire qual è la loro vocazione. Gli vengono assegnati incarichi di responsabilità a Macomer, poi ancora in Scozia, a Londra, a Chicago, a Brescia… Lavora incessantemente, si laurea anche in psicologia e negli ultimi anni percorre l’Italia in lungo e in largo per incontrare studenti universitari, giovani e ragazzi delle scuole di ogni grado. Gli viene dato l’incarico di dirigere il CEM, Centro per l’Educazione alla Mondialità. Non resta certo con le mani in mano, ma l’Africa lo chiama. Il suo lavoro in Sierra Leone non è finito, ci sono persone che hanno ancora bisogno di lui. Il suo fisico debole preoccupa i superiori che prendono tempo, ma quando nasce il progetto di un’università a Makeni, la prima università a Makeni, non lo tiene più nessuno. Lui può, ha esperienza, ha lavorato tutta la vita a contatto con gli studenti, ha diretto o collaborato alla direzione di vari istituti. Ha tutte le carte in regola per ripartire! Così con una gioia traboccante comunica la notizia a familiari e amici. In una toccante cerimonia, a marzo del 2005, il vescovo gli consegna la croce del missionario, la stessa che ricevette nel 1980. E’ pronto a rientrare nella sua terra, là dove vuole spendere la sua vita. È felice. Sa di non essere più giovane, che il suo fisico è ancora più debole di prima, ma questo è il suo desiderio più forte e in uno slancio di entusiasmo dice a tutti: “Non parto a nome mio, parto a nome del Cristo”. Così ha fatto, ha donato la sua vita al Cristo. Non sappiamo come siano stati i suoi ultimi momenti, se non che è stato assistito dalle suore di Cluny e che al momento della morte era con lui il vescovo Mons. Biguzzi. Siamo certi però che in quella mattina di Pasqua il sepolcro si è aperto anche per lui e che il Cristo, che lui ha testimoniato e annunciato ai lontani e ai vicini, lo ha tenuto per mano così come Ivaldo ha fatto tante volte con noi. Allora, nella speranza della Resurrezione, non vogliamo dire addio ma Arrivederci Padre Ivaldo e grazie per aver donato la tua vita a tutti noi.